Pregare con le parole di san Francesco 11

Siamo giunti al termine di questo lungo cammino sulle virtù che fa frate Francesco.

Queste virtù per dare elogio in qualche modo al dono della vita, alla sua creatività, al suo lavoro, insomma un dire grazie perchè grazia ad essa l’uomo possa gratificare Dio ed essere felice se vive fedelmente unite a queste virtù, basta che ne manca una che ne mancano tutte.

La santa carità confonde tutte le diaboliche e carnali tentazioni  e tutti i timori carnali.                                           La santa obbedienza   confonde tutte le volontà corporali e carnali   e ogni volontà propria.

Cosa intendiamo con carità?

Oggi “carità” equivale a ciò che una volta si chiamava “elemosina”: dare ai poveri. Originariamente  era molto più ampio il suo significato. Carità significa “amore, nel senso cristiano”. Ma l’amore nel senso cristiano non è un’emozione. Invece è uno stato non dei sentimenti ma della volontà: quello stato della volontà che noi abbiamo naturalmente verso noi stessi, e che dobbiamo imparare ad avere verso gli altri.

Bisogna ben capire che l’amore cristiano (o carità) che abbiamo per il prossimo è altra cosa dalla simpatia o dall’affetto.  Occorre capire che questa “simpatia” naturale non è né un peccato né una virtù. Invece è peccaminoso o virtuoso è invece l’uso che ne facciamo di questi termini.

Diciamo che la simpatia come l’affetto naturale per una persona facilità l’essere “caritatevole” verso di essa. Perciò è  doveroso incoraggiare i nostri affetti, provare il più possibile simpatia per gli altri  perché è un aiuto verso la carità. Così come stiamo bene noi dobbiamo stare attenti che la nostra simpatia per qualcuno non ci renda poco caritatevoli e ingiusti verso qualcun altro. 

Ma se le simpatie e gli affetti sono da incoraggiare, sarebbe un errore credere che per diventare caritatevoli bisogna confezionare sentimenti affettuosi. Certuni “freddi” per temperamento; può essere, per loro, una disgrazia, ma non è un peccato più di quanto lo sia una cattiva digestione. La regola per noi tutti è semplicissima. Non perdere tempo a domandarti se “ami” il prossimo: agisci come se lo amassi. Subito, così facendo, scopriremo che quando ci comportiamo con qualcuno come se lo amassimo, ben presto arriviamo ad amarlo. Se gli fai del bene non per piacere a Dio e per obbedire alla legge della carità, ma per mostrargli quanto tu sia generoso e magnanimo, e per rendertelo obbligato, e poi stai ad aspettare la sua “gratitudine” è ci si rimani delusi. 

Se parlassi lingue…, ma non avessi la carità, sarei come un metallo che rimbomba o come cimbali che strepitano.
E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri…, ma non avessi la carità, non sarei nulla.
E se distribuissi tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe.
La carità è paziente, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
La carità non avrà mai fine.
(1Cor. 13, 1-13).

Chi ama vola, corre e canta; dona ogni cosa, e ha il tutto in ogni cosa,  non guarda a ciò che gli è donato, ma guarda a colui che dona.

L’amore non conosce misura in quel fervore che oltrepassa ogni confine. L’amore non tiene conto della fatica.   Chi ama può fare ogni cosa, mentre chi non ama, fallisce nel suo intento. L’amore vigila anche nel sonno. Erompe verso l’alto e procede sicuro come fiamma ardente e viva. L’amore è: sollecito, sincero, devoto, lieto, sereno, forte, paziente, fedele, prudente, longanime, virile e sempre dimentico di sé.

La carità brucia ogni sentimento negativo: ira, gelosia, vendetta, invidia, prepotenza, sete di dominio, disprezzo e sfruttamento. I suoi frutti sono: gioia, pace e generosità.

Insieme alla santa carità cosa pensiamo della santa obbedienza?

Cosa pensa, anzi cosa scrive frate Francesco su come osservare l’obbedienza, per sentirsi liberi e amati.

“Il suddito deve considerare nel suo superiore non l’uomo, ma Colui per amore del quale si è reso suddito”(FF 735). E deve porre come unico limite all’obbedienza la propria coscienza, pur agendo nella carità verso il superiore poco illuminato.

Ma ritorniamo ai giorni nostri di come dovrebbe intendersi l’obbedienza.

L’obbedienza, come virtù, è doverosa per tutti i cristiani, di qualunque ceto religioso o non religioso appartenga, i quali per chi fa un cammino, devono obbedire a Dio, ai Comandamenti, al Papa, al Confes­sore, insomma tutti dobbiamo in un certo modo obbedire, allo Stato nelle sue giuste leggi, ai familiari, alla propria coscienza illuminata dalla fede, alle buone ispirazioni. Obbedire in questo modo, vuol significare fare la volontà di Dio, cioè la realizzazione dell’uomo nell’essere felice della propria vita e missione, cosa indispensabile per la salvezza dell’anima e per avere la pace del cuore e la serenità con gli altri.
Sarebbe importante se non interessante riflettere che tutti i cristiani, vogliano o non vogliano, credano o non credano un giorno faranno i loro voti. Quando? All’istante della morte. come sappiamo, c’è lo dice anche il Vangelo cioè non porteranno davanti a Dio né i loro beni terreni, né il loro corpo mate­riale, né la loro volontà che si uniformerà alla volontà di Dio. L’obbedienza, come voto, impegna le persone consacrate, ma anche a chi si professa cristiano o che fa un cammino spirituale lo conduce ad immergersi con gioia nella volontà di Dio rinun­ciando alla propria volontà: è la rinuncia più grande, più liberante, più meritoria e più santificante. 

Chi obbedisce ai Superiori obbedisce a Dio. S. Paolo af­ferma: “Non vi è potere se non da Dio. Chi resiste al potere, resiste alla volontà di Dio” (Romani 13,1-2). Obbedirai al Superiore, anche se questi fosse cattivo, nevrastenico, perché egli rappresenta il Signore. I superiori, che frate Francesco non ama usare questi termini perchè siamo fraternità di fratelli, quindi usa il termine guardiano, ma chi può essere il guardiano, il marito, il capo ufficio, il formatore, tutti coloro che hanno un compito o una responsabilità.

Cosa dicono i santi sull’obbedienza?

I Santi come sono diventati tali proprio perché furono obbedienti. Prendiamo qualche esempio. S. Francesco d’Assisi era obbedientissimo al Papa, ai Vescovi, ai Sacerdoti e a tutti i Frati e anche ai fedeli laici. Rinunciò all’ufficio di generale dell’Ordine proprio da lui fondato e volle un Guardiano cui obbedire. Nei suoi viaggi, prometteva obbedienza al Frate che lo accompagnava.  “Sono disposto ad obbedire a un novizio da un’ora come al Frate più vec­chio” (cf.FF. 1106).

ll B. Pietro Cattaneo, primo Vicario dell’Ordine francescano, fu umile e obbediente in vita e anche dopo la morte. Così come anche il Beato Bonaventura da Potenza si distinse per la sua obbedienza anche dopo la sua morte al parlare del guardiano.

S. Giovanni della Croce afferma che: “L’obbedienza è un sacrificio più accetto a Dio che tutte le penitenze corporali”.

Papa Giovanni XXIII aveva questo motto: “Obbedienza e pace!”

S. Agostino ripeteva: “L’obbedienza è la madre della felicità”.

S. Veronica Giuliani, aveva una forte tendenza naturale a comandare. In casa sua, comandava a bac­chetta. Lei stessa scrive: “Ero di testa dura, la volevo sempre vinta e ci riuscivo.                                                             Ebbene, fattasi suora, diventa obbedientissima. Nel suo Diario, fa grandi elogi dell’obbedienza. Leggiamo qualche frase: “L’obbedienza è la voce del divino volere … Vivere in obbedienza e per obbedienza!… Camminare sotto la santa obbedienza … Essere in atto continuo di obbedienza… Essere la stessa obbedienza .. Non vorrei avere nemmeno un pensiero se non per obbedienza… Ob­bedienza non solo alla Superiora, ma a tutte … Vivere e morire per obbedienza… Obbedire in vita, in morte e dopo morte”.

S. Francesco di Sales ti esorta: “Obbedisci con dolcezza, con pron­tezza, con gioia, soprattutto con amore verso Colui che, per amore nostro, si è fatto obbediente fino alla morte di Croce eche preferì rìnunziare alla vita piuttosto che all’obbedienza” (Filotea).

“L’obbedienza senza libertà è schiavitù, la libertà senza obbedienza è arbitrio”. 

DALLE MEDITAZIONE MATTUTINE DI PAPA FRANCESCO                                                                                   L’obbedienza è ascolto che rende liberi

Cosa significa — si è chiesto il Pontefice — «obbedire a Dio? Significa che noi dobbiamo essere come schiavi, tutti legati? No, perché proprio chi obbedisce a Dio è libero, non è schiavo! E come si fa questo? Io obbedisco, non faccio la mia volontà e sono libero? Sembra una contraddizione. E non è una contraddizione». Infatti «obbedire viene dal latino, e significa ascoltare, sentire l’altro. Obbedire a Dio è ascoltare Dio, avere il cuore aperto per andare sulla strada che Dio ci indica. L’obbedienza a Dio è ascoltare Dio. E questo ci fa liberi»…..

«Nella nostra vita — ha detto Papa Francesco — sentiamo anche proposte che non vengono da Gesù, che non vengono da Dio. Si capisce, le nostre debolezze a volte ci portano su quella strada. O anche su quell’altra che è più pericolosa ancora: facciamo un accordo, un po’ di Dio e un po’ di voi. Facciamo un accordo e così andiamo nella vita con una doppia vita: un po’ la vita di quello che sentiamo che ci dice Gesù, e un po’ la vita di quello che sentiamo che ci dice il mondo, i poteri del mondo e tanto altro». Ma è un sistema che «non va». Infatti «nel libro dell’Apocalisse, il Signore dice: questo non va, perché così non siete né cattivi né buoni: siete tiepidi. Io vi condanno»…..

In questa scelta di obbedienza a Dio e non al mondo, senza cedere al compromesso, il cristiano non è solo. 

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Pubblicato da vitaconsacratafrancescan

Simpatico, amante della gioia, innamorato dei santi, disponibile e accogliente